-#25.
all'altezza
su tutti i documenti ho scritto 170
carta di identità (scaduta), patente, passaporto.
martina, occhi verdi, 170 centimetri.
a tutte le visite sportive, da piccolina, l’altezza è sempre stata una parte fondamentale tra le varie misurazioni: serviva a capire se crescevo, come andava la preparazione atletica e in che modo rispondevo agli stimoli dell’allenamento. una specie di mappatura di come stavo procedendo nel mondo, il modo in cui mi muovevo nello spazio. con quale ingombro e quale prospettiva: fino a dove riesci a guardare con lo sguardo? dove arrivi a vedere?
insomma, ogni volta che c’è stato da dichiarare l’altezza, ho sempre risposto con un secco “un metro e settanta”, quasi arrogante, come a dire, “mbé non lo vedi?”
non sono bassa, cioè non sono una spilungona, però non puoi dire di me che sono bassa. me la cavo bene. è evidente.
l’altezza è una faccenda molto complicata: in alcuni posti - penso ad esempio a mirabilandia, insomma, dove ci sono delle giostre pericolose da fare - se sei alto sotto una certa misura, non puoi andare: è una bella fregatura, a pensarci. nasce, invece, come protezione: se sei sotto quella data misura, non arrivi alle protezioni. rischi di farti male. e allora è meglio che tu stia coi piedi per terra. in basso, insomma.
in altri luoghi e situazioni, l’altezza è una carta per misurare - assurdo come le parole a volte si incontrino proprio nello stesso campo da gioco - quanto vali: si è mai visto qualcuno lavorare nel mondo della moda sotto il metro e settanta? probabilmente sì, ma non in passerella. possono sfilare solo quelli che dimostrano una certa distanza dal soffitto.
oppure ancora, un giocatore di pallacanestro sotto il metro e ottanta? sì, qualcuno probabilmente anche, sì, ma vengono sempre considerate delle eccezioni. dei talenti veri. perché sono all’altezza della loro non altezza. un bel paradosso, che rende però eroico questo modo di stare dentro il mondo e fuori dalle misure. occupo un po’ lo spazio che voglio, sembrano dire questi piccoli umani sotto gli standard di altitudine.
ieri mi sono misurata e con mio grandissimo rammarico ho scoperto che negli ultimi anni sono stata promotrice di una menzogna: non sono alta un metro e settanta. mi viene da dire che potenzialmente non lo sono mai stata, non penso di aver mai raggiunto davvero quell’altezza. forse i medici sportivi adducevano a questa mia dimensione verso l’alto più per semplicità, come a dire: sì, dai, più o meno. ci sei.
non so dire da dove parta l’inganno, quale sia stato effettivamente il primo giorno della mia vita in cui io mi sia convinta di essere di un’altezza che effettivamente non sono, ma ieri ho avuto l’assoluta certezza di non essere quello che credevo. di non avere quella certa distanza dal cielo.
è strano perché in effetti raggiungo sempre gli ultimi ripiani degli scaffali al supermercato. non porto i tacchi; non mi piace essere così slanciata verso il sopra e con così troppo distacco dal pavimento. non mi sento a mio agio. a volte è stato legato al fatto che mi sembrava di occuparne troppo, di spazio, effettivamente. altre volte ne ho fatto un discorso di stabilità. mi piace avere un appoggio plantare che conosco. non mi piace avere altre sovrastrutture. voglio sentire il pavimento sotto i piedi per come l’ho imparato e vissuto negli anni.
eppure per anni mi sono spacciata per una donna di un metro e settanta. e non è mai stato così.
eppure, come dicevo, ai ripiani del supermercato ci arrivo. sono sempre stata considerata alta per la mia età e sono quasi sempre la più alta - o quasi - tra le mie amiche.
ma non sono un metro e settanta.
non sono all’altezza, verrebbe da dire.
sono, però, a un’altezza che mi ha sempre permesso di non portare i tacchi, camminare come volevo camminare e soprattutto sentirmi libera come quando di scarpe non ne indosso nemmeno
questo concetto dell’altezza, che fa girare la testa quando sei catapultato in un piano troppo alto rispetto al tuo solito e arrivano pronte a citofonare le vertigini, come a ricordarti che da lì l’impatto con il terreno farebbe malissimo. se caschi, da questa altezza, ti fai male. giusto perché tu lo sappia, poi fai cosa vuoi.
la stessa altezza che sembra sempre irraggiungibile quando ci si pone di fronte a qualcun altro: perché sembra arrivarci meglio, più facilmente, senza tacchi. che poi uno non lo sa mai se la sa davvero - intendo dire quella vera, visto che come sto raccontando è molto facile vivere nella menzogna - la sua, di altezza; se sa davvero fino a dove può arrivare
delle volte mi sembra più un concetto - l’altezza - che ti raccontano: per farti stare dentro o fuori dei parametri stabiliti da chissà chi poi. se rientri, bene. se no, sei fuori. e di certo, la cosa più frustrante di tutti, se non raggiungi quei centimetri, non importa quanto sodo lavori. non li hai in dotazione. devi arrenderti. non ci arrivi.
non importa quanto ti allunghi. ti mancherà sempre quel pezzettino di dito in più per arrivare all’ultimo scaffale del supermercato senza saltellare o evitando di afferrare per poco il prodotto per farlo in qualche modo cadere verso di te.
sembra quasi che l’altezza sia imposta dall’alto, lo stesso alto che ti chiede di raggiungerlo perché altrimenti sei destinata a una vita di sguardo verso il basso, a guardare solo il suolo senza goderti il cielo, i tramonti, le albe, persino i temporali, se vuoi. comunque tutte le evoluzioni che stanno su e non giù.
ti fanno sentire, così. all’altezza dico. oppure no. e lì si apre un sentiero fatto di tutti quei centimetri che mancano per sentirti come vorresti. centimetri rimpiazzati e riempiti solo dalla frustrazione di sapere che quelle stesse manciate di spazio che ti renderebbero felice, tu non le avrai mai.
ma se è vero - e lo è - che all’altezza uno ci si sente o meno, allora forse io non ho vissuto nella menzogna fino a ieri, quando ho scoperto di non essere un metro e settanta. semplicemente ho sempre avuto i centimetri che meglio si fanno alla mia persona, al mio modo di camminare, di occupare lo spazio.
non sono all’altezza, di un metro e settanta, ma sono il mio metro e sessantasette. e in effetti non è cambiato nulla: arrivo sempre agli scaffali, non metto i tacchi, non voglio distanziarmi troppo dal pavimento, ma guardo sempre in su per capire che succede sui tetti delle case che mi ricordano tanto parigi in questa torino grigia di fine inverno
forse allora l’altezza è solo una sensazione
non ha niente a che fare con la statura vera
non è lei a farti sentire le vertigini o la pesantezza dei piedi che non sembrano riuscire a staccarsi da terra per fare i passi; non ha niente a che vedere con quanto goffo sei o con quanta mobilità hai
perché sui centimetri, quelli veri, possono anche mentirti per trentadue anni e mezzo
e tu,
comunque,
nel mondo,
col tuo metro e sessantasette,
ci sei stata lo stesso
m.

